Consigli anime Flash (non giapponesi)

Si da sempre troppo spazio all'animazione nipponica, davvero...troppo. Per cui ho deciso di portarvi una mini recensione di tre film, d'animazione ovviamente, che non fanno parte di questa categoria, ma sono comunque delle opere fantastiche, da vedere per forza.

Il racconto dei racconti
(Jurij Norstejn):

Il racconto dei racconti (skazka skazok) è una delle opere più potenti ch’io abbia mai visto. 30 minuti di pura poesia. Uno straordinario decoupage, che rappresenta, in maniera del tutto disconnessa, il progredire della storia dell’Unione Sovietica (che però pare mostrare tappe affrontate da tutti i Paesi), dal lontano ricordo, dolce e nostalgico, della campagna, agli orrori della guerra. Un tripudio di emozioni incredibile, in cui i drammi ed i terrori della storia, vengono trattati sempre con delicatezza, senza mai sfociare nel crudo. Fondendo questo al racconto della vita umana, la nascita, la crescita, l’arrivo delle responsabilità, la morte, il regista, Jurij Norštejn (Yuri Norštein), riesce a comporre un capolavoro indescrivibile, magnifico, considerato da molti il miglior film d’animazione di tutti i tempi. Il protagonista principale è uno strambo lupetto grigio, che guarda con interesse e malinconia l’esistenza umana. Nella scena finale mi è sembrato quasi che provasse a salvarla invano dal continuo ripetersi degli eventi.
Un treno che corre e separa le scene, quasi ad indicare la ciclicità della storia, la costante presenza della mela, come a rappresentare vita e morte, ma anche ricchezza e povertà, un racconto carico di simbolismo. Un’opera dalla bellezza assoluta, che racconta la vita in maniera concreta e mai retorica. Un capolavoro la cui potenza è fin troppo difficile da esprimere… da guardare assolutamente.

Appuntamento a belleville (Sylvain Chomet):

Un film divertente e pregno di significato, un racconto parodistico e folle, che non ha paura di lanciare una critica pungente al mondo capitalista e ozioso in cui viviamo, che talvolta sfrutta le persone per i propri fini. Champion, il protagonista, rimasto orfano, si ritrova a vivere con sua nonna. Da piccolo vede le foto dei suoi genitori su una bici e dopo aver ricevuto un triciclo per il compleanno, nasce in lui la passione per il ciclismo. Durante il tour de France, verrà catturato da dei tipi sospetti e portato a Belleville. Questa città è una fusione fra New York e Parigi, la statua della libertà porta in mano un hamburger e la maggior parte delle persone sono obese. In un mondo sporco e che è disposto a sacrificare le persone per il progresso, come per Les Triplete (gruppo di cantanti ormai vecchie e fallite), la musica pare l’unica via di fuga, non solo per scappare da un mondo orribile, ma anche per fuggire dalla vecchiaia, rendendola bella e divertente. Un lungometraggio praticamente muto, se non per qualche dialogo (pensate che i nomi sopra pronunciati non vengono mai citati), che però riesce ad essere molto espressivo e mai tedioso. Lo stile ricorda gli anni ‘30 e interessanti sono i giochi di prospettiva che Sylvain Chomet riesce a mettere in pratica. Un’opera spettacolare che giunge, nell’epilogo, a un finale semplice ma efficace, con la scena delle fuga conclusiva per cui non trovo altre parole se non spettacolare.

Una delle piccole perle dell’animazione italiana, firmata da uno dei nomi più illustri di questo settore: Bruno Bozzetto. West and Soda fu uno dei primi lungometraggi a colori realizzati in Italia e, ai tempi (stiamo parlando degli anni 60’) quando fu rilasciato per la prima volta nelle sale cinematografiche, non riscosse molto successo. Nel corso degli anni, tuttavia, è stato rivalutato e, al giorno d’oggi, viene considerato da molti un piccolo capolavoro.
Un film che non ha paura di sperimentare, di osare, di nuotare in acque non ancora del tutto esplorate, di distanziarsi dalle tendenze dell’epoca. Il debito nei confronti della Disney (colosso dell’animazione in quel periodo), è zero, Bozzetto sembra volersi distaccare del tutto, proponendo idee originali, folli e divertenti. Un’opera che scommette tutto, scegliendo di parodizzare un classico assoluto: “il Western”. Questo intento parodistico si può intuire già dal titolo, una palese ripresa di uno dei drink più odiati in Italia, almeno ai tempi, il whisky and soda.
In un piccolo paesino nel deserto, due criminali, Ursus e Smilzo, soggiogano i più deboli. I due sono capitanati da un uomo che pare malvagità allo stato puro: “il Cattivissimo”, che agogna l’unico terreno fertile del posto e, di conseguenza, anche la mano della proprietaria Clementina, una bellissima contadina che si innamora del pistolero tosto, affascinante e solitario, o almeno così dovrebbe essere, Jhonny. Una storia già sentita, ma che permette a Bozzetto di lasciarsi andare ad un completo sperimentalismo, alcune scene, a mio parere, toccano picchi assurdi, sia di comicità che di messa in scena, come per esempio l’inseguimento finale, ma anche il duello conclusivo. Divertente, intrattenete, con uno stile fresco e originale per l’epoca. Un cult da vedere che ha fatto la storia dell’animazione italiana e che risulta affasciante anche al giorno d’oggi.

West and Soda (Bruno Bozzetto):